I 50 anni dello Statuto dei lavoratori e il riformismo di Giugni


20 maggio 1970, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale lo Statuto dei Lavoratori diventa legge dello Stato a tutti gli effetti.
L’approvazione dello Statuto rappresenta il sigillo finale di decenni di lotte e rivendicazioni per i diritti, le libertà e la dignità dei lavoratori.
Con lo Statuto dei lavoratori “la Costituzione entra nelle fabbriche” mettendo in soffitta il diritto (del lavoro) corporativo fascista.
La proposta di uno Statuto parte da lontano, nel 1952 fu Giuseppe Di Vittorio, allora segretario generale della CGIL, a lanciare la proposta di uno Statuto dei diritti dei cittadini lavoratori.
La proposta fu ripresa nel 1963 da Aldo Moro durante il suo discorso alle Camere per ottenere la fiducia al primo Governo di centro-sinistra, ma anche quella volta rimase soltanto una proposta.
Il progetto ritornò centrale soltanto con le agitazioni degli operai, dei contadini, e anche con le prime manifestazioni studentesche del ’68.
Il padre politico dello Statuto è stato il socialista Giacomo Brodolini il quale il 4 gennaio 1969 ad Avola, un mese dopo la strage, parlando davanti ai lavoratori ed ai braccianti del posto, riprende l’idea di far approvare uno Statuto dei diritti dei lavoratori.
Dopo aver informato il Parlamento della scelta del Governo di presentare un disegno di legge, Brodolini nomina una commissione alla quale chiede di redigere una proposta in breve tempo. A capo della commissione viene nominato Gino Giugni, professore di diritto del lavoro all’Università di Bari.
Se Brodolini è stato il padre politico dello Statuto, il padre giuridico è stato Gino Giugni, anche se lo stesso Giugni non amava molto questa definizione, lui si sentiva e si definiva “metà giurista e metà politico”.
Il progetto viene presentato alle Camere, ma nel mentre Brodolini muore, il suo posto viene preso dal democristiano Carlo Donat Cattin il quale decide di portare a termine il lavoro del suo predecessore.
Dopo un percorso lungo e travagliato, il 14 maggio 1970 la Camera dei deputati approva definitivamente il testo dello Statuto dei lavoratori con 217 voti favorevoli(a favore socialisti, democristiani, repubblicani e liberali) e l’astensione dei comunisti (i quali però portarono un notevole contributo soprattutto sul tema dei licenziamenti) e dei missini.
Il 20 maggio 1970 la legge n.300 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà ed attività sindacale sui luoghi di lavoro e norme sul collocamento” viene pubblicata in Gazzetta Ufficiale.
Il testo è composto da 41 articoli, diviso in sei titoli: della libertà e dignità del lavoratore; della libertà sindacale; dell’attività sindacale; disposizioni varie e generali; norme sul collocamento; disposizioni finali e penali.
Si tratta di un testo legislativo chiaro, lineare e semplice. All’interno del testo da un lato si riconoscono i diritti dei lavoratori, dall’altra il sostegno all’attività sindacale in azienda. Troviamo quindi una doppia dimensione: individuale e collettiva.
Da quella legge è nata poi anche un’altra importante legge, la riforma del processo del lavoro del 1973. Una riforma che ha portato ad una velocizzazione del processo del lavoro ed ha conferito ai giudici gli strumenti necessari per rendere effettivi i diritti istituti dallo Statuto dei lavoratori.
In questi 50 anni la legge ha subito notevoli modifiche e aggiornamenti, non da ultimo la riforma c.d Jobs Act la quale ha profondamente innovato e modificato la disciplina dei licenziamenti.
E’ rimasta intatta la parte relativa alla garanzia dei diritti fondamentali della persona all’interno dell’azienda.
Ma ricordando questo anniversario e questa legge non si può non ricordare Gino Giugni.
Come ha scritto di recente Silvana Sciarra, giudice della Corte Costituzionale, allieva di Giugni, “furono le persone a determinare certi eventi e fu la loro cultura pluralista delle relazioni sindacali a determinare il cambiamento”.
Gino Giungi è stato il protagonista di quella stagione.
In quegli anni Giugni ha infatti combattuto da un lato il conservatorismo giuridico e dall’altro l’ideologismo dei partiti politici di allora.
L’idea di fondo era quella di migliorare la democrazia attraverso un cambiamento e un’innovazione del diritto del lavoro e delle relazioni industriali e sindacali.
Il suo pensiero e la sua attività di giurista, consigliere e poi politico hanno  influenzato ed accompagnato il diritto del lavoro e le relazioni industriali italiane fino alla fine degli anni Novanta.
Negli ultimi anni di vita Giugni era tormentato dal fatto che “il diritto del lavoro diventasse terreno conteso della politica, terra di conquista dell’economia e selva intricata di disposizioni volatili, frequentemente cambiate, senza una profonda sedimentazione nella realtà sociale”.
A quasi 11 anni dalla sua morte possiamo affermare che non aveva tutti i torti.
Oggi la società, così come il lavoro e le produzioni, sono stati travolti da un serie di cambiamenti veloci e repentini, che però ci devono indurre ad una riflessione nuova e diversa partendo  sempre dai principi e dai valori che sono scolpiti all’interno della Carta Costituzionale e dello Statuto dei Lavoratori.
Formazione permanente, un maggiore funzionamento dei centri per l’impiego, il diritto alla disconnessione, una disciplina e una regolamentazione dello smart working, lotta al caporalato sono alcuni dei temi che dovrebbero trovare spazio all’interno del dibattito politico provando a mettere al centro non questioni o battaglie ideologiche ma l’interesse e la tutela dei lavoratori e dal lavoro in tutte le sue forme e modalità.
Ricordando l’anniversario dello Statuto e le lotte che lo precedettero e rileggendo il pensiero di un autentico riformista quale era Gino Giugni si possono trovare una serie di strumenti utili ad orientarci in questo periodo di navigazione in mare in tempesta.


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