Dalla Cassa per il Mezzogiorno al Recovery Fund, il Mezzogiorno al centro

Il Recovery Fund rappresenta un’opportunità e un’occasione da non perdere per l’Italia, ma soprattutto per il Mezzogiorno.
Come negli anni ’50 il destino e il futuro del Mezzogiorno e dell’Italia è strettamente legato all’Europa (e all’Occidente).
All’indomani del secondo conflitto mondiale l’Italia era un Paese distrutto e povero. 
Un Paese a forte vocazione agricola, quasi il 70% della produzione nazionale era riconducibile all’agricoltura.
Ma, gli aiuti del Piano Marshall, il saper fare italiano e una classe dirigente che aveva idee e progetti ben saldi e chiari gettarono le basi per lo sviluppo e l’ammodernamento dell’Italia.
Restava un problema annoso, quello della questione meridionale.
Un problema che non era mai stato affrontato in chiave unitaria né durante il periodo liberale, né durante il fascismo.
Così nel 1950, sul modello della Tennessee Valley Authority creata nel lontano 1933 in America da Roosevelt, venne istituita la Cassa per il Mezzogiorno.
L’idea fu dell’allora Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, la stesura del testo di legge istitutivo fu assegnata a Donato Menichella. 
Menichella ideò una struttura agile, snella ed efficiente che venne poi affidata a Gabriele Pescatore, allora Presidente del Consiglio di Stato.
La Cassa infatti aveva una legge istitutiva (molto chiara!) la quale comprendeva un’unicità della direzione, un’autonomia giuridica e finanziaria (in modo che quest’ultima non dipendesse dalle maggioranze o dai vari governi) e un personale proprio con specifiche competenze tecniche e amministrative.
Con la Cassa prendevano corpo il pensiero e le idee di Beneduce e Nitti i quali immaginavo che il pubblico fosse in grado di agire con l’efficienza e l’efficacia del privato.
I primi anni della Cassa servirono per dotare il Mezzogiorno delle infrastrutture primarie e necessarie (acquedotti, rete elettrica, bonifiche, edifici pubblici ecc…), ma nel 1957 (anno della creazione della Comunità Economica Europea) con la legge di rifinanziamento della Cassa si diede avvio anche all’opera di industrializzazione del Mezzogiorno.
Degli effetti di queste politiche non ha beneficiato solo il Mezzogiorno ma l’intero Paese. Queste, infatti, hanno consentito non solo la creazione di un solido mercato interno, ma anche il miracolo economico italiano e l’affermazione dell’Italia tra le grandi potenze mondiali.
Con le crisi del 1973 e il dilagare di fenomeni clientelari all’interno della Cassa è iniziata non solo la crisi del Mezzogiorno, il quale negli anni più floridi della Cassa aveva visto ridurre il divario tra le due Italie, ma anche il declino dell’Italia stessa.
La Cassa è stata estinta nel 1984. Nel 1986 è stata sostituita da AgenSud che però è stata soppressa qualche anno più tardi, nel 1992.
Negli anni seguenti al 1992 c’è stato un disimpegno da parte dello Stato nei confronti del Mezzogiorno. E’ un disimpegno politico, si inizia a parlare di questione settentrionale, ma anche finanziario, i fondi comunitari/europei sostituiscono via via la politica economica nazionale.
Nel 2001, con l’approvazione della riforma del Titolo V, il termine Mezzogiorno è stato espunto anche dalla Costituzione. Ciò ha portato alla proliferazione dei centri decisionali e anche di spesa dovuti al nuovo Titolo V il quale ha affidato alle Regioni maggiori competenze e funzioni.
Ad essa va aggiunta la poco efficiente allocazione delle risorse europee da parte delle Regioni le quali invece di dirottare le risorse verso la crescita e lo sviluppo hanno spesso incentivato consorterie e clientele, opere inutili e aziende decotte.
Nel 2008, la crisi finanziaria ha travolto la già fragile economia meridionale. Come del resto anche l’intera economia nazionale.
La ripresa italiana e meridionale (2014 – 2017) non ha consentito il recupero del terreno perso durante la crisi del 2008.
Anche se nel Mezzogiorno si sono visti segni di vitalità in determinate aree territoriali e in determinati settori industriali.
La crisi generata dalla pandemia da Covid-19 ha arrestato l’economia italiana che quest’anno segnerà quasi un -10% del PIL (- 9% per il Mezzogiorno).
Il Governo italiano ha messo in campo una serie di misure volte a contenere la crisi economica e sociale ma la risposta a questa crisi è stata soprattutto una risposta europea.
L’Europa ha messo in campo misure e risorse senza precedenti.
Con il Next Generation EU, l’Unione Europea ha previsto un piano da 750 miliardi di euro per sostenere l’economia degli Stati membri e aiutarli nella transizione verde e digitale. All’Italia come è noto andranno 209 miliardi che si sommeranno ai fondi europei della programmazione 2021 – 2027, altri 80 miliardi di euro.
Si tratta di somme senza precedenti. Al Mezzogiorno andranno circa 140 miliardi di euro, una cifra di gran lunga superiore alle cifre impiegate (a suo tempo) dall’Italia per il finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno.
Adesso servono idee e progetti validi oltre che un buon impiego e una buona spesa di queste risorse. Occorre mettere da parte localismi e regionalismi vari che fanno male al Mezzogiorno, ma anche all’Italia. È il momento dell’Unità nazionale.
Come scriveva Mazzini “l’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà”.
Il nostro Paese deve affrontare i problemi nel suo insieme, con una visione unitaria, non possiamo permetterci di sprecare quest’occasione.
Del resto è quello che ci chiede l’Europa con il piano stesso, al centro di quest’ultimo infatti c’è la coesione economica, sociale e territoriale, oltre che la transizione verde e digitale.
I fondi vengono assegnati ai singoli Paesi e non alle Regioni. L’obiettivo infatti è il sostegno, il rafforzamento e la trasformazione delle economie nazionali verso modelli produttivi innovativi, sostenibili e resilienti.
I Piani nazionali devono essere organizzati per missioni e programmi e non per singoli territori o aree. All’interno delle missioni e dei programmi vanno individuati gli obiettivi che devono portare il nostro Paese a colmare i vari gap che ci sono tra Regioni e tra l’Italia e gli altri Stati membri e rafforzare il nostro sistema produttivo e la sua resilienza.
Le Regioni e gli enti locali del Mezzogiorno dovrebbero partecipare in maniera attiva al dibattito nazionale evidenziando al Governo, in sede di Conferenza Stato – Regioni o Conferenza Unificata, le loro priorità da inserire all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza e allo stesso tempo dovrebbero agire in maniera unitaria anche in vista della nuova programmazione in modo da poter coordinare al meglio le politiche e gli interventi da adottare nei rispettivi territori.
Il Mezzogiorno, l’Italia devono guardare all’Europa ma anche e soprattutto al Mediterraneo, mare che ha visto negli ultimi anni un aumento considerevole di traffici e commerci.
L’Italia per il suo ruolo geografico può fungere da ponte tra l’Europa e l’Africa e può portare al centro delle politiche europee questa zona.
Il Mediterraneo con l’affermarsi dei paesi africani e con il ruolo sempre più marginale dell’America (concentrata ormai quasi tutta sul Pacifico) sarà sempre più centrale e vitale per noi e per i nostri interessi.
Ma per svolgere questa funzione geopolitica e geoeconomica allo stesso tempo l’Italia ha bisogno di un Mezzogiorno forte, dinamico e interconnesso.
Se vogliamo tornare ad essere protagonisti, dobbiamo abbandonare logiche localiste e campaniliste che danneggiano solo il Paese e recuperare un po’ lo spirito che ha caratterizzato la classe politica e imprenditoriale del secondo dopoguerra.
Rileggendo il dibattito che ha portato alla creazione per la Cassa per il Mezzogiorno si possono trovare elementi utili anche per il dibattito odierno.
Perché “l’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà”.

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