Quando un dibattito sulla "fase della ricostruzione"?

Il 4 maggio in Italia prende il via la c.d “Fase 2”.
Milioni di lavoratori tornano a lavoro, migliaia di aziende riapriranno i propri stabilimenti.
Per i cittadini cambia poco dato che c’è stato soltanto un leggero allentamento delle misure. Così come non cambierà nulla per milioni di studenti che continueranno a svolgere la loro attività scolastiche ed universitarie a distanza.
Al netto delle polemiche che hanno affollato i giornali e i social in questi ultimi giorni sulle modalità e i tempi di riapertura, la c.d “Fase 2” sarà una fase nuova e inedita per tutti gli italiani, perché è l’inizio della convivenza col virus. Ahinoi, non è un ritorno al tempo di prima o alla normalità.
Tutti gli italiani saranno chiamati a rivedere una serie di abitudini, ad adeguarsi a nuove regole e nuovi comportamenti.
La politica, in questi mesi così difficili e duri, ha cercato di approvare una serie di misure per far fronte all’emergenza sanitaria che presto è diventata un’emergenza sociale ed economica.
Per salvaguardare un diritto importante come quella alla salute è stato imposto un lockdown su tutto il territorio.
Una misura che non aveva precedenti nella nostra storia.
C’è chi ha paragonato questo periodo ad un periodo di guerra, ma non c’è cosa più sbagliata. Stiamo fronteggiando un nemico invisibile ma non ci sono macerie e tanto meno bombardamenti e conflitti tra nazioni in corso.
Forse però dovremmo prendere in prestito da quel periodo una parola, la parola ricostruzione.
Perché l’Italia post Covid19 va ripensata e “ricostruita”.
Quello che oggi manca al nostro Paese è una discussione vera e non sommaria su quale Paese vogliamo, su come vogliamo utilizzare e sfruttare gli spazi di manovra economica per rimettere in corsa un Paese che da troppo tempo è in affanno.
Questa crisi ci ha mostrato alcuni limiti strutturali che attanagliano il nostro Paese da decenni.
Con l’implementazione dello smart working e della didattica a distanza abbiamo avuto un’ulteriore conferma sul digital divide (e device aggiungerei) che non riguarda solo il Nord e il Sud del Paese, ma anche i centri con le periferie, le aree urbane con le aree interne.
La continua produzione di Dpcm e di ordinanze, l’organizzazione della sanità ha certificato un rapporto tra Stato e Regioni che va completamente rivisto.
Dopo anni di campagne No Vax e di tagli al comparto della ricerca scientifica oggi noi tutti speriamo che da qualche parte venga prodotto un vaccino.
Dopo aver deriso con campagne ad hoc le competenze, il mondo della conoscenza oggi la classe politica si appella ai comitati di esperti e a task force varie perché a tratti è incapace di decidere.
Con l’avviarsi della c.d “Fase 2” la politica invece di rimpallarsi responsabilità e accuse dovrebbe rilanciare un progetto di ricostruzione del Paese ed iniziare a pensare alla c.d “Fase della ricostruzione”.
Non possiamo e dobbiamo perdere questa occasione. Con l’allentamento delle regole europee su aiuti di stato, patto di stabilità e in attesa del via libera definitivo al nuovo pacchetto di misure (SURE, MES, BEI, Recovery Fund) l’Italia deve impegnarsi ad utilizzare al meglio questi strumenti per riqualificare e bilanciare la propria spesa e sostenere politiche di crescita e di maggiore equità.
Insomma, come direbbero i più, dobbiamo trasformare questa crisi in opportunità. Non servono formule salvifiche o nuove, serve solo un dibattito serio da avviare il prima possibile.
Un dibattito che può senza dubbio iniziare all’interno del Parlamento che deve tornare ad essere centrale, soprattutto in questa fase. A questa discussione devono partecipare tutte le forze politiche, economiche e sociali del Paese.
All’indomani della Liberazione, che da poco abbiamo celebrato, la classe politica di allora aveva difronte a sé un Paese distrutto e umiliato dalla guerra, un Paese povero e provato da anni di guerra civile.
Quella classe politica ha dato all’Italia una Costituzione, nuove istituzioni ma anche un’idea di Paese e di futuro.
Non si è limitata a ragionare soltanto dell’emergenza, ma si è impegnata e spesa per la ricostruzione materiale, economico e sociale del nostro Paese.
Ha gettato le basi della nuova Italia, un’Italia che nel giro di qualche decennio è diventata una potenza economica europea e mondiale.
La classe politica di oggi dovrebbe affrontare con questo rinnovato spirito le sfide che il nostro Paese ha difronte.
In gioco non c’è il destino di un leader o di una forza politica, ma quello dell’Italia intera.


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