Piano e governance, cosa non torna nella proposta italiana
Il Next Generation EU (Recovery Fund) è stata una grande conquista e un importante passo in avanti compiuto, nel pieno della pandemia, dalle istituzioni europee e dagli Stati membri.
E’ stata la risposta europea alla crisi generata dall’emergenza Covid-19.
L’accordo siglato a Bruxelles il 21 luglio, dopo lunghe ed
estenuanti trattative, prevede un fondo di 750 miliardi di euro divisi tra 390
miliardi di sussidi (grants) e 360 miliardi di prestiti (loans). All’Italia vengono destinati 209 miliardi di euro,
Il Next Generation EU (Recovery Fund) è collegato al
Bilancio pluriennale dell’Unione Europea (2021 -2027). I 750 miliardi saranno
raccolti sui mercati finanziari. Per la prima volta esisterà un debito comune
europeo, una cosa impensabile meno di un anno fa.
Secondo quanto prevede l’accordo ogni Piano nazionale dovrà
“essere coerente con le raccomandazioni specifiche per Paese e contribuire
alla transizione verde e digitale” e “promuovere la crescita e la
creazione di posti di lavoro e rafforzare la resilienza sociale ed economica
dei Paesi dell’UE”.
I Governi dovranno inviare alla Commissione europea i Piani di ripresa e di
resilienza entro fine aprile 2021.
Si tratta di un’occasione unica e irripetibile per il nostro
Paese che avrà il compito di gestire ed impiegare al meglio queste risorse in
modo da superare la crisi causata dalla pandemia e colmare alcuni gap storici tra
noi e il resto degli Stati membri.
L’Italia però rischia di arrivare a questo appuntamento con
la storia con una maggioranza di governo sfilacciata e con un piano che sembra
essere lontano dalle aspettative di molti.
Sul piano che dovrà presentare l’Italia e sulla governance
di quest’ultimo si è scatenato nell’ultimo periodo un dibattito cacofonico.
Il 15 settembre il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte
(dopo aver ottenuto il via libera dal Comitato interministeriale per gli affari
europei) ha inviato a Camera e Senato la prima bozza per la definizione del
Piano italiano di ripresa e resilienza per accedere ai fondi previsti dal
Recovery Fund.
Si tratta di un documento abbastanza agile, sviluppato in 38
pagine.
Il documento descrive a grandi linee come si svilupperà il
piano italiano. Nel dettaglio prevede che “il PNRR sarà costruito secondo
una sequenza logica: le sfide che il Paese intende affrontare; le missioni del
programma a loro volta suddivise in cluster (o insiemi) di progetti omogenei
atti a realizzare le missioni e, di conseguenza, vincere le sfide stesse; i
singoli progetti di investimento, che saranno raggruppati nei clusters; le
iniziative di riforma che saranno collegate ad uno o più cluster di intervento”.
Le sfide incluse nel PNRR sono le seguenti: “Migliorare
la resilienza e la capacità di ripresa dell’Italia; Ridurre l’impatto sociale
ed economico della crisi pandemica; Sostenere la transizione verde e digitale;
Innalzare il potenziale di crescita dell’economia e la creazione di occupazione”.
Le sei missioni sono: “Digitalizzazione, innovazione e
competitività del sistema produttivo; Rivoluzione verde e transizione
ecologica; Infrastrutture per la mobilità; Istruzione, formazione, ricerca e
cultura; Equità sociale, di genere e territoriale e Salute”.
Tutti gli interventi saranno raggruppati all’interno dei
cluster e a questi bisognerà collegare i vari progetti di riforme che sono
l’elemento essenziale sul quale si regge tutta l’impalcatura. Le riforme,
infatti, rappresentano la condizione per eccellenza richiesta dalla Commissione
per l’erogazione dei fondi.
Le Linee guida del Piano italiano hanno destato molte
polemiche e criticità, in diversi lo hanno raffrontato al piano francese “France
Relance” presentato ad inizio settembre dal Governo francese.
Ad essere precisi il piano “France Relance” non è il
piano definitivo che i cugini d’oltralpe presenteranno alla Commissione.
Il piano francese ha una dotazione di 100 miliardi spalmati su 2 anni (2021 e
2022), di questi 100 miliardi soltanto 40 sono i miliardi provenienti dalle
risorse dal Next Generation UE, il resto sarà a carico della finanza francese. Il
nostro prevede l’impiego delle sole risorse europee.
Ma, al netto delle questioni tecniche, quello che colpisce è la completezza del
piano, un piano ampio, con una visione di lungo periodo, spalmato su 296 pagine
schematizzate e strutturate in maniera egregia.Ogni politica/intervento è inserita all’interno di un macro tema (Ambiente,
Competitività e Coesione sociale e territoriale) e suddivisa in: problematica,
descrizione tecnica della misura, impatto, costo e finanziamento, il calendario
della messa in opera.
Il testo è diviso in quattro parti: gli obiettivi, le
riforme e gli investimenti, l’attuazione e il monitoraggio del piano e la valutazione
dell’impatto economico. Le riforme e gli investimenti mirano a “una
transizione green, smart and healthy”.
Viene inoltre individuato il Ministro degli Affari europei quale referente unico con la Commissione Europea per tutte le attività legate all'attuazione del Piano. Il Comitato esecutivo “può in ogni caso delegare a uno dei propri componenti, senza formalità, lo svolgimento di specifiche attività”.
Ai “responsabili” di missione in ciascun settore
interessato è riconosciuta la “responsabilità generale di assicurare la
celere ed efficace attuazione del piano”, la costante verifica del “cronoprogramma
nonché il compito di adoperarsi, anche attraverso l'attivazione di poteri
sostitutivi, per favorire il superamento di situazioni di inerzia o comunque
ostative alla realizzazione dell'intervento programmato”.
Questi avranno compiti di “impulso e coordinamento operativo, vigilanza e
monitoraggio”, “segnalazione e pubblicazione” di ritardi e inerzie su cui
potranno agire con “poteri sostitutivi”.
Anche la governance è da rivedere, perché costruire altre
sovrastrutture o strutture parallele sa tanto di un commissariamento esplicito
dei Ministri in carica, si tratta di un malcelato accantonamento della
politica. Su questo giorni fa è stato presentato un importante contributo da
parte di Assonime che forse meriterebbe una discussione o un approfondimento.
A ciò si aggiunge la totale assenza di un dibattito a
livello nazionale su come impiegare questi fondi, sul governo di questi e sui
quali settori puntare maggiormente.
E’ come se la pandemia avesse messo in confinamento non soltanto le persone ma
anche i partiti e tutti quei luoghi che in altri tempi, anche più critici di
questo, hanno elaborato proposte e soluzioni nell’interesse generale del Paese.
Anche l’azione del Parlamento (che era stato inizialmente
coinvolto) latita.
Il Next Generation EU (Recovery Fund) è l’ultimo treno per
il nostro Paese. Da decenni, infatti, arranchiamo: tra bassa crescita e bassa
produttività; riforme incompiute o mai realizzate, un divario Nord-Sud
crescente di anno in anno, scarsi investimenti in ricerca, innovazione e istruzione
e in infrastrutture.
Serve uno scatto in avanti da parte di tutti quelli che
hanno a cuore le sorti del Paese, qui non c’è in gioco il destino di qualcuno o
il futuro del Governo, ma l’Italia di domani.
Credo che mai come oggi è tempo di lavorare ed evitare polemiche che risulterebbero tanto dannose quanto incomprensibili sopratutto in un momento come questo
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